I donatori di sangue
E’ un tema su cui scrivo con un certo ritardo. Anche se era nella mia agenda fin dall’inizio di questa rubrica.
Non è facile parlare dei donatori di sangue (non delle loro Associazioni, di cui diremo in altra occasione), perché il rischio di cadere nella retorica è molto alto e perché gli interessati non amano sentire parlare di sé con troppa enfasi. Con molta modestia, si considerano persone che fanno soltanto il loro dovere.
Potrei dire, molto semplicemente: “I donatori di sangue sono degli ottimi cittadini perché donano il loro sangue”.
Sento però, anche se la proposizione è esatta, che essa non è sufficiente.
Penso che non se ne possa valutare il ruolo se non si allarga il discorso e se non si inquadra la loro presenza all’interno della nostra società.
Si sa. L’individuo tende, in forme più o meno marcate a seconda dei periodi storici, a rinchiudersi in se stesso, a porre tra sé e gli altri uno schermo a difesa della propria privacy. Talvolta questo atteggiamento è comprensibile, perché magari l’organizzazione sociale vive momenti di turbolenza oppure perché, avvalendosi di strumenti anche molto sofisticati,minaccia di invadere la sfera privata del cittadino, ma molto spesso l’uomo si comporta così per un condizionamento biologico, non sufficientemente contrastato con un po’ di educazione … liberaldemocratica.
Per fortuna, questa tendenza è controbilanciata nel nostro Paese dalla presenza di tanti cittadini che svolgono un servizio di volontariato a favore di persone in temporanea o permanente difficoltà.
Tra questi cittadini occupano un posto di assoluto rilievo i donatori di sangue, presenti in ogni categoria sociale. Se è importantissimo dedicare il proprio tempo libero per alleviare i disagi di chi ha problemi di handicap, ancora più straordinario e senza confronto è il gesto di chi dona una parte di sé.
Qualcuno potrebbe dire che anche chi dona il sangue ha un vantaggio, perché la donazione comporta un controllo periodico della sua salute (e questo dovrebbe essere un ottimo motivo per convincere molti a farsi donatori di sangue!), e qualcuno, sottovalutando il suo gesto, potrebbe addirittura affermare che il dono non comporta un grande sacrificio perché il midollo osseo reintegra rapidamente quanto viene donato.
Ma sarebbe un discorso meschino. Primo, perché, anche se fosse vero, non tutti i cittadini se la sentono di fare quel ‘sacrificio’ (il che vuol dire che, comunque, la donazione comporta una limitazione alla propria sfera di esistenza individuale) e, secondo, perché quel gesto sottende un valore di inestimabile ricchezza per il Paese che ne gode i vantaggi.
Una comunità non vive soltanto di atti ‘atomizzati’ nell’ambito di tutte le attività quotidiane che ne garantiscono la sopravvivenza e lo sviluppo, ma ha bisogno di gesti silenziosi, di comportamenti esemplari, di una linfa sotterranea che ne tenga unito il tessuto sociale e senza la quale non esisterebbe come comunità.
I donatori di sangue, che, senza clamori, svolgono quotidianamente un’azione che assicura salute a tanti cittadini, sono come una corrente carsica che, silenziosamente, scorre nelle profondità della vita sociale, ma che, all’occorrenza, riemerge per riproporsi come valore assoluto per tutti i cittadini e per significare che, al di là dei giustificati e inevitabili conflitti che tormentano la vita comunitaria, esistono valori che ne cementano la solidarietà e danno un volto unitario a ciò che può apparire inevitabilmente diviso.
I donatori di sangue non devono quindi temere di apparire ‘sovraesposti’, non si devono adombrare se i loro dirigenti li vogliono premiare e se si adoperano perché il loro nome trovi riscontro concreto in nomi di vie e in testimonianze scultoree.
‘Donatore di sangue’ dovrebbe diventare un titolo onorifico e il Presidente della Repubblica dovrebbe conferirlo, ogni anno, in forma solenne, a tutti coloro che possono vantare un’esistenza interamente dedicata a dare vita a chi quotidianamente o occasionalmente ne teme la perdita.
(“EX”, dicembre 2003)